La crisi Almaviva, che ha annunciato oltre 2.500 taglia, alza il livello di guardia sul settore. I rappresentanti dei lavoratori chiedono alla commissione Lavoro del Senato di “intervenire con norme che siano di contrasto alle delocalizzazioni e applicando le sanzioni che sono già previste”
Ieri, intanto, la vertenza di Almaviva è tornata al ministero dello Sviluppo economico. Sul tavolo ci sono ancora i trasferimenti di 135 lavoratori da Palermo a Rende. La vicenza è iniziata con la perdita della commessa Enel che a dicembre non rinnoverà il contratto. E dei 300 lavoratori che rispondono ai telefoni della società elettrica, i primi 135 dovrebbero fare le valigie già dal 24 ottobre.
Il nodo dei traferimenti è solo uno dei problemi che assilla i lavoratori di Almaviva, che pochi giorni fa ha annunciato oltre 2.500 licenziamenti tra Roma e Napoli. Un’ipotesi irricevibile p
er i sindacati. “Basterebbe – ha spiegato Susanna Camusso, segretario generale Cgil – che le grandi aziende pubbliche non facessero le gare al massimo ribasso, ma pagassero, secondo norme e contratti, i lavoratori e anche gli appalti. Un settore come quello dei call center non può essere privo di ammortizzatori sociali e di risposte. Bisogna dare attuazione a quelle norme che sono state fatte e poi non
sono state
applicate, come quelle che impediscono la delocalizzazione e il fatto che dati sensibili, come quelli che passano attraverso i call center, possano andare in altri Paesi”. Solo nella Capitale sono a rischio sono 1.666 operatori, la parte restante nella città partenopea (845).